Quanto dura un ergastolo?
L’ergastolo è la pena detentiva più aspra che si possa comminare per un delitto, almeno in Italia. Quanto dura un ergastolo? Sembra una domanda retorica ma non lo è affatto, perché le cose possono cambiare in base ad alcuni aspetti.
Il sistema carcerario italiano, infatti, ha come fine ultimo la riabilitazione, il ravvedimento e il reinserimento del reo, e da questo approccio non sono esclusi nemmeno i condannati all’ergastolo. Il diritto penitenziario si occupa di garantire l’applicazione di questi principi al detenuto.
L’ergastolo in Italia
Essere condannati all’ergastolo in Italia significa dover scontare una pena detentiva perpetua. È la pena più alta in assoluto e viene inflitta a chi commette delitti particolarmente gravi come omicidio, reati di mafia o terrorismo.
Ne parla il Codice Penale, art. 2 e art. 22, che spiega in poche ma eloquenti righe in cosa consiste l’ergastolo: “La pena dell’ergastolo è perpetua, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. / Il condannato all’ergastolo può essere ammesso al lavoro all’aperto”.
La detenzione, dunque, è a vita e serve ad impedire il reiterarsi di delitti ritenuti gravissimi. Per questo le misure restrittive sono particolarmente forti e la detenzione è sottoposta a regole molto severe.
Quanto dura un ergastolo?
Per quanto l’ergastolo sia una pena a vita, l’ordinamento giuridico italiano prevede la possibilità, qualora si stia scontando una condanna per ergastolo semplice (e non ostativo), di ottenere una serie di benefici o misure premiali. In buona sostanza l’ergastolano, a fronte di una condotta che ne evidenzi il ravvedimento, può:
- usufruire di permessi premio (dopo 10 anni di detenzione)
- ottenere la semilibertà (dopo 20 anni di detenzione)
- ottenere la libertà condizionale (dopo 26 anni di reclusione)
I permessi premio: come funziona
I permessi premio (art. 30 L. n. 354 del 26/07/1975) consentono al detenuto di poter uscire dal carcere, allo scopo di favorire relazioni sociali, interessi culturali o di lavoro. Possono avere una durata massima di 15 giorni consecutivi, e non si possono ottenere più di 45 giorni di permesso per ogni anno di detenzione.
Semilibertà: presupposti e come funziona
Anche il regime di semilibertà (art. 48 L. n. 354 del 26/07/1975) può essere ottenuto a fronte di una buona condotta e non prima di 20 anni di detenzione. La semilibertà prevede la possibilità di uscire dal carcere per una parte della giornata per svolgere attività di lavoro, di istruzione o altre attività considerate utili al reinserimento sociale del soggetto.
Libertà condizionale: cos’è
Allo scadere dei 26 anni, sussistendone le condizioni, l’ergastolano può uscire dal carcere in regime di libertà vigilata. Se nei 5 anni successivi conferma la buona condotta e non commette reati, dopo 31 anni il condannato può tornare libero cittadino. In caso contrario la libertà condizionale viene sospesa.
Lo scopo di tutte queste misure è consentire a chi dimostri buona volontà il reinserimento progressivo nella società, sia da un punto di vista sociale (permessi premio), sia da un punto di vista lavorativo.
Ergastolo ostativo: di cosa si tratta
Tutte le misure descritte sopra non possono essere applicate nel caso in cui si sia condannati all’ergastolo ostativo. Fu introdotto nell’ordinamento italiano dopo la strage di Capaci del 23 maggio 1992, nel clima di allarme sociale creato dall’uccisione del magistrato antimafia Giovanni Falcone. Questa è la massima pena prevista dal nostro ordinamento e non consente di accedere ad alcun tipo di beneficio. La condanna, pertanto, viene scontata interamente in carcere.
Questo tipo di condanna viene applicata in caso di reati gravissimi, come l’associazione mafiosa, terrorismo ecc., per i quali esiste un alto rischio di reiterazione.
Eppure, anche in questo caso, in certi casi il condannato può accedere ai benefici. In base al tipo di reato e ad altre circostanze è possibile che, anche in regime ostativo, si possa accedere a misure premiali. Nel caso di reati di stampo mafioso, ad esempio, una via consentita è la collaborazione con la giustizia.
Ma la Corte costituzionale con la sentenza n° 253 del 2019, ha dichiarato che la presunzione assoluta di pericolosità sociale del condannato, sulla base dell’assunto che il rifiuto di collaborazione equivalga a perdurante pericolosità, è illegittima, in quanto non solo irragionevole, ma in violazione dell’articolo 27, comma 3, della costituzione, che sancisce la funzione rieducativa della pena ed implica, quindi, la progressività trattamentale e la flessibilità della pena, contro rigidi automatismi.
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