Diritto penale minorile e principi del processo penale
Il processo penale minorile è disciplinato dal D.P.R. 448/1988 e nonostante riprenda dal processo penale ordinario i principi e le disposizioni in esso contenute, differisce da quest’ultimo per una molteplicità di aspetti.
Principi del processo penale minorile
Innanzitutto il processo penale minorile è detto tale perché disciplina i casi in cui a commettere un reato sia un minore di anni diciotto, l’imputato cioè è minorenne; nei principi generali, dettati dall’art.1, risulta chiaro il fine del processo penale minorile: l’adeguamento dello stesso alla personalità e alle esigenze educative del minorenne. Sulla base di tale fine, vengono elencati una serie di principi, quali il principio di minima offensività e di adeguatezza delle misure, che sono rivolti ad evitare che il minore venga emarginato per la sua condotta criminosa o che la sua identità venga in qualche modo svalutata. Così come è valido per il processo penale ordinario, anche in questo caso specifico il processo deve portare ad una rieducazione attraverso la pena e all’inserimento del minore all’interno di un contesto di responsabilità a livello sociale.

La competenza è affidata al tribunale per i minorenni, che si occupa delle cause relative agli illeciti penali, e il magistrato di sorveglianza minorile è competente fino al 25^ anno d’età per i reati commessi in età minore. Secondo l’art. 169 del codice penale, è prevista la possibilità per i minori di anni diciotto di usufruire del perdono giudiziale per i minorenni, qualora il giudice lo conceda e alla presenza di determinati presupposti: la commissione del reato da parte di un minorenne e la previsione, per il reato commesso, di una pena restrittiva della libertà personale della durata al massimo di due anni ovvero di una pena pecuniaria anche se congiunta alla pena. In tal caso il giudice può liberamente valutare la possibilità che l’imputato minorenne si asterrà dal commettere ulteriori reati e per tale ragione può quindi astenersi dal pronunciare condanna e concedere il perdono giudiziale.
Per la stessa finalità di cui sopra, le misure cautelari minorili possono essere solo quelle espressamente previste dal decreto presidenziale n. 448 del 1988; è previsto dunque, quando viene disposta una misura cautelare, ossia nei casi in cui il reato ha come pena l’ergastolo o la reclusione non inferiore a cinque anni, l’affidamento del minore ai servizi minori dell’amministrazione della giustizia, che hanno il compito di sostenere e controllare lo stesso. Tra le misure cautelari si trovano le prescrizioni in libertà, che obbligano il minore allo studio, al lavoro e ad attività socialmente utili; la permanenza in casa, eccetto il permesso per andare a scuola; il collocamento in una comunità, quale centro per la Giustizia Minorile in collaborazione con le strutture specializzate nel campo adolescenziale, che impedisce la libera circolazione del minore e consente una vigilanza continua e per ultima, è prevista anche la custodia cautelare in carcere, che di norma, secondo il principio di residualità della detenzione, viene utilizzata solo come ultima e residuale misura, come extrema ratio, ossia nel caso in cui effettivamente sussistano delle preoccupazioni relative al minore e al suo rapporto con la società che non potrebbe essere tutelato sufficientemente se non in un contesto di custodia cautelare.

E’ anche per tale principio che il processo penale minorile si differenzia dal processo penale ordinario, in quanto è necessario considerare che il minore non è ancora entrato in relazione con la società.